La nazione che ha dato al mondo il carbone per uso industriale è diventata la prima economia industrializzata a farne a meno per un periodo di tempo prolungato.
Utilizzato per la prima volta dai Romani per riscaldare gli ipocausti, e ampiamente commercializzato a partire dal 13º secolo, il carbone britannico ha alimentato la rivoluzione industriale del 18º secolo, da cui è nato il mondo moderno. I cieli erano talmente plumbei a causa dello smog provocato dal carbone, come ben illustrano da espressioni evocative dell’epoca quali ‘oscuri mulini satanici’ e ‘zuppa di piselli’, da portare all’introduzione della prima normativa mondiale a favore dell’ambiente, ossia il Clean Air Act del 1956.
Ora, nessun tipo di carbone viene bruciato per generare energia nel Regno Unito da quando le ultime quattro centrali elettriche a carbone rimanenti sono state disconnesse dalla rete il 9 aprile scorso. L'attuale periodo senza carbone ha battuto il record precedente di 18 giorni, stabilito nel giugno 2019. La pandemia da coronavirus è stata in parte responsabile, poiché il lock-down ha portato ad una richiesta di energia nettamente inferiore da parte di aziende o negozi costretti a rimanere chiusi.
Si tratta di una svolta significativa per una nazione che, un tempo, dipendeva a tal punto dal carbone che lo sciopero dei minatori degli anni settanta mise l’intero paese in ginocchio. ‘King Coal’ (ossia il re Carbone) rappresentava il 40% di tutta la produzione energetica del Regno Unito appena 10 anni fa.
Adesso, invece, il paese sta diventando una sorta di superpotenza dell’energia rinnovabile, dato che possiede il più grande parco eolico offshore del mondo. La gigantesca centrale elettrica di Drax nello Yorkshire, che un tempo utilizzava il carbone per generare 3.900 megawatt di elettricità, ovvero il 6% del totale del Regno Unito, è stata riconvertita al funzionamento con pellet di legno importati da foreste sostenibili negli Stati Uniti.
Tutto ciò significa che l’energia generata da fonti rinnovabili è sulla buona strada per superare quella da combustibili fossili per la prima volta in assoluto quest’anno. Le energie rinnovabili, in primis l’energia idroelettrica scozzese, rappresentano il 37% dell’elettricità prodotta nell’anno in corso, rispetto al 35% dei combustibili fossili, capeggiati dal gas naturale offshore. Il nucleare rappresenta il 18%.
Il passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili è di importanza vitale nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio, di modo che i vari Paesi del mondo, Regno Unito compreso, possano rispettare gli impegni assunti nell'accordo di Parigi. Tale accordo mira a limitare il riscaldamento globale a 2 gradi Celsius al di sopra dei livelli registrati prima della rivoluzione industriale, resa possibile dal carbone britannico.
“La progressiva scomparsa del carbone nel Regno Unito, che di recente ha avuto un'ulteriore accelerazione, ci ricorda con forza che i combustibili fossili saranno presto una reliquia del passato”, afferma Chris Berkouwer, gestore di portafoglio della strategia Robeco Sustainable Global Equities.
“Fortunatamente, gli ‘investimenti verdi’ sono al centro di molti piani di ripresa post-pandemia, in particolare nell’UE, e ciò contribuirà sicuramente a migliorare le tecnologie necessarie per decarbonizzare il mondo, quali ad esempio l'idrogeno pulito, la ristrutturazione in chiave ecologica degli edifici e l'ulteriore impiego di fonti rinnovabili”.
“Il tema della decarbonizzazione va considerato su un orizzonte di decenni e offre molte angolazioni con cui giocare. I nostri modi preferiti per farlo sono i raffinatori di biocarburanti, le aziende di gas industriali che producono idrogeno e i facilitatori delle energie rinnovabili”.
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